Il 2024 è stato un anno prospero per lo Shipping, che ha trovato nelle condizioni negative generatesi tra gli stretti del Mar Rosso un modo per mitigare l’effetto boomerang della sovraccapacità figlia dei colli di bottiglia pandemici.
Adesso, però, le condizioni stanno ancora cambiando, con Suez che potrebbe tornare ad un’operatività nella norma – anzi, addirittura potenziata grazie ai lavori di espansione appena portati a termine – facendo sì che la necessità di così tanta capacità venga meno non dovendo più compensare con il numero di transiti i tempi dilatati dal periplo dell’Africa.
Inoltre, c’è la spada di Damocle rappresentata dalle tassazioni che gli Stati Uniti intendono applicare alle navi di produzione cinese, pari – tra varie quote – ad 1 milione e mezzo di dollari per chiamata a nave in ogni porto delle coste statunitensi; un trattamento che, per Washington, dovrebbe porre un freno al predominio mondiale di Pechino nella cantieristica delle portacontainer, ma che per le compagnie di navigazione – come già affermato da MSC – renderebbe molte rotte classiche transatlantiche non più sostenibili.
A dare un ulteriore chiave di lettura alla possibile evoluzione del settore, intervengono una serie di informazioni provenienti da CMA CGM, terzo operatore di linea al mondo nel trasporto container e parte della Ocean Alliance, il cui messaggio è chiaro: il 2025 sarà un anno turbolento e lo Shipping è pronto a migrare laddove sarà più facile operare.
La ‘migrazione’ dei vettori container
In variati statement, la compagnia di navigazione francese CMA CGM, di proprietà della famiglia Saadé, dopo aver confermato i buoni risultati finanziari del 2024, ha espresso preoccupazioni per le possibili decisioni commerciali degli Stati Uniti d’America, sottolinenando come si tratti di un problema comune a tutti i vettori commerciali marittimi.
Ad annoverare nelle proprie flotte portacontainer varate in Cina sono un po’ tutte le grandi società di Shipping e armatoriali, dunque la ripercussione di una tassazione così ingente, a tappeto (ripetuta per ogni scalo effettuato negli USA), creerebbe problemi nella sostenibilità economica delle rotte a tutti i vettori.
Di fatto, malgrado il 2024 abbia, tra enormi tensioni geopolitiche, dimostrato la capacità di adattamento e la flessibilità del settore, l’anno appena iniziato porterà, sì, ad ulteriori riorganizzazioni dello Shipping, ma con il rischio (per l’Occidente) che le strade già aperte durante la crisi del Mar Rosso – vale a dire le nuove rotte ed il rafforzamento di hub portuali in nazioni prima di secondo piano – si consolidino e favoriscano una diversificazione verso altri mercati.
In parole povere, lo Shipping potrebbe trasmigrare risorse e mezzi verso regioni del mondo dove operare è più facile e più redditizio.
Flotte made in China
D’altronde, CMA CGM è parte della Ocean Alliance, che è costituita dalla cinese Cosco Shipping, dalla Taiwanese Evergreen e da OOCL, con sede ad Hong Kong: la si potrebbe dunque definire ‘di parte’, se non fosse che la sua situazione è comune a quasi tutte le grandi società del settore.
Inoltre, la competitività dei cantieri navali cinesi attrae sempre più investimenti, se, come riporta un’indagine finanziaria dell’istituto di credito olandese ING, l’80% dei nuovi ordini navali è in carico ai cantieri di Pechino; la stessa CMA CGM, per dire, ha una commessa aperta presso i CSSC Jiangnan Shipyard per dodici portacontainer da 18mila Teu con alimentazione dual fuel ad LNG, dunque di ultima generazione, con consegna fissata entro il 2029: si tratta di un investimento da 2 miliardi e mezzo di dollari, che difficilmente sarà stralciato, e la prospettiva di vita di quelle navi è almeno trentennale.
CMA CGM non è l’unica ad avere ingenti ordini di nuove unità presso i cantieri cinesi: MSC, lo scorso dicembre, ha reso noto di aver ordinato 10 portacontainer dual fuel-LNG da 24mila Teu di capacità ai cantieri Hengli Heavy Industries di Dalian, mentre nel 2025 ha firmato un secondo ordine per 4 portacontainer da 22.000 Teu (più altre 4 opzionali per un totale di 8 unità), sempre dual fuel ma di nuova concezione, con il Changhong International Shipyard di Zhousan.
Tanto per dare un’idea, si tratta di un investimento che supera i 250 milioni di dollari per singola nave e la fame di espansione delle flotte portacontainer è tale da aver recentemente indotto alcuni cantieri navali cinesi a riaprire anche i siti in precedenza dismessi.
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Segnali di radicamento su altri mercati
Intanto, tornando a CMA CGM, è chiaro che la compagnia non si aspetta nel 2025 la replica dei risultati del 2024, che l’ha vista aumentare il volume di Teu trasportati del 7,8%, raggiungendo una quota sul mercato globale pari al 6,2%.
In termini finanziari, la società francese con sede a Marsiglia, terzo vettore Shipping al mondo, nel 2024 ha fatto segnare introiti per 55 miliardi e mezzo di dollari, il 18% in più rispetto al 2023, con un guadagno al lordo di tasse, interessi e ammortizzazioni varie di 13,4 miliardi di dollari (margine EBITDA del 24,2%).
La sola movimentazione dei container ha portato introiti per 36,5 miliardi di dollari, superando di un buon 16% i risultati del 2023, con un margine EBITDA del 30,8%, non solo migliorato di oltre 7 punti percentuali rispetto al 2023, ma competitivo con quelli di Ocean Network Express (31,2%), Maersk (24,6%) e Hapag-Lloyd (24,2%).
Tuttavia, forte proprio di questi risultati, in parte venuti anche dall’apertura di nuove rotte verso l’India, intra-Asia e verso il sud America, è possibile che la compagnia decida di aprire sempre più rotte in altre regioni del mondo.
A tal proposito, nel 2024 CMA CGM ha acquisito il 48% di Santos Brasil, principale operatore di infrastrutture portuali del Brasile e gestore del più grande terminal container del sud America, mentre ha siglato una partnership con Amrsa Maroc per gestire parte del terminal container Nasdor West Med, in Marocco, e ha inaugurato il Khalifa terminal ad Abu Dhabi.
Tanto per dire che nessun mercato può ritenersi fondamentale fino in fondo, al giorno d’oggi.