Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, condotte all’interno di una più ampia ristrutturazione (per così dire) dei rapporti commerciali tra USA e resto del mondo – destabilizzano l’economia globale, con effetti ancora tutti da cogliere sino in fondo.
L’aspetto paradossale è che, mentre è logico aspettarsi preoccupazione e ansia da chi con gli Stati Uniti commercia esportandovi i propri prodotti, ad essere oltremodo in agitazione sono le stesse piccole e medie imprese americane, molto spesso dipendenti dall’estero per le forniture.
In una ricerca apparsa sulla stampa a stelle strisce di settore, dedicata alla logistica, c’è chi ipotizza che i dazi voluti dalla Casa Bianca possano avere ripercussioni particolarmente pesanti proprio sulle piccole imprese americane. Diversi CEO e un recente studio condotto da Freightos concordano su un punto cruciale: l’incertezza generata dalle tariffe potrebbe portare migliaia di aziende alla bancarotta, con conseguenze economiche e commerciali disastrose.
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L’incertezza delle PMI americane
Freightos ha intervistato circa 200 importatori americani per analizzare l’impatto delle tariffe, e i risultati non lasciano molto spazio all’ottimismo. Il punto dominante è, difatti, l’incertezza: ben il 51% degli intervistati ha dichiarato di non riuscire a prevedere le prossime mosse del governo in materia di dazi doganali, annaspando quindi in un orizzonte indistinto che non consente loro di pianificare delle strategie.
Il livello medio di preoccupazione espresso dagli imprenditori è, secondo una scala su 10 punti, rilevato a 8.9 punti, ossia quasi ai massimi livelli, polso di una situazione molto tesa – e stiamo plausibilmente parlando anche di una quota degli stessi elettori del presidente americano.
I più cauti hanno completamente sospeso le spedizioni in attesa di maggiore chiarezza (33%), mentre un 29% sta cercando fonti di approvvigionamento alternative per ridurre la propria dipendenza dalla Cina, che sarebbe poi la strada che Trump vorrebbe che le aziende statunitensi intraprendessero.
Dalla ricerca emerge che le aziende stanno adottando strategie di emergenza per mitigare i rischi: chi ridistribuendo gli inventari in magazzini di stoccaggio per aggirare i dazi, chi scorporando i costi di trasporto dalle fatture per riversarli sui clienti.
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Il crollo delle importazioni: perdite da triliardi di dollari
Secondo i dati di SONAR, servizio di rilevazione delle prestazioni logistiche del trasporto merci negli USA e sulle rotte marittime, le prenotazioni di trasporto marittimo dalla Cina sono già calate del 20% su base annua, mentre altri esperti, come il CEO di Flexport Petersen, ipotizza che il calo possa arrivare al 50%. Se questo trend negativo persistesse, gli Stati Uniti potrebbero perdere circa 1 trilione di dollari in attività economiche.
Freightos ha registrato una forte oscillazione nei costi di trasporto marittimo: prima dell’arrivo dei dazi a inizio aprile, le rotte dalla Cina, Taiwan e Vietnam hanno visto un aumento significativo dei prezzi. Mentre i tassi di noleggio spot dei passaggi in stiva dalla Cina sono scesi del 16%, quelli da Taiwan e Vietnam sono rimasti elevati, segno di un tentativo di diversificazione da parte delle aziende.
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Dazi e nuovi equilibri: l’inversione della filiera?
Tra gli scenari negativi che si teme possano innescarsi come conseguenza dei dazi, vi è un vero e proprio cortocircuito industriale. Oltre al rischio di fallimento per migliaia di imprese, viene sottolineato un altro effetto collaterale potenzialmente devastante: la possibile acquisizione dei marchi americani da parte dei loro fornitori cinesi. I produttori cinesi, che finora hanno gestito solo la parte produttiva della filiera, potrebbero fagocitare le aziende in bancarotta e diventare protagonisti diretti del mercato, conquistando il segmento orientato ai consumatori.
Si tratterebbe di una sorta di ‘scacco matto’ che Pechino potrebbe mettere in atto qualora le politiche commerciali di Trump dovessero sfuggire di mano al loro stesso creatore.
Intanto, nel trasporto aereo, l’eliminazione dell’esenzione “de minimis” sulle importazioni cinesi a partire dal 3 maggio potrebbe abbassare i tassi di trasporto nel lungo termine, portando ad una diminuzione dei volumi delle spedizioni di e-commerce da piattaforme come Shein e Temu. Tuttavia, nel breve periodo, il costo del trasporto aereo rimane elevato a causa dell’anticipazione degli ordini prima dell’entrata in vigore delle nuove tariffe su prodotti come gli autoricambi.
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Prospettive future: una necessaria retromarcia?
Almeno quella parte di esperti e industriali che vedono con forte spirito critico le mosse commerciali drastiche della Casa Bianca concordano sul fatto che gli Stati Uniti potrebbero dover ridurre le tariffe presto o tardi, ipotizzando, sul lungo termine, una nuova amministrazione che favorisca un approccio più libero al commercio; l’augurio che molti si fanno, oltreoceano, è di evitare una recessione prolungata, se proprio non è possibile schivare la recessione in sé dopo le decisioni prese.
Anche gruppi di settore, come l’American Apparel & Footwear Association, che rappresenta 1100 brand e 3 milioni e mezzo di impiegati nel settore abbigliamento a stelle e strisce, mettono in guardia contro l’uso (definito ‘controverso’) delle tariffe da parte del presidente Trump, il conseguente aumento dei prezzi e la perdita di posti di lavoro che potrebbe essere causata da queste politiche. Particolarmente dura, da parte della AAFA, la reazione nei confronti delle penalizzazioni extra imposte a chi utilizza navi di produzione cinese, norma ritenuta senza troppi mezzi termini autolesionista.