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Pechino contro la cessione dei porti panamensi: CK Hutchison in bilico

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Foto di Schmucki da Pixabay

CK Hutchison Holdings, il colosso industriale guidato dall’uomo più ricco di Hong Kong, il miliardario Li Ka-shing, ha nelle scorse settimane annunciato un accordo preliminare per la cessione dei due porti chiave del Canale di Panama – quelli di ingresso e uscita sui due oceani dirimpettai, Balboa e Cristobal – e degli altri asset globali (esclusi quelli di Hong Kong e in terra cinese) a un consorzio internazionale guidato dall’americana BlackRock Inc., con una transazione dal valore complessivo di circa 23 miliardi di dollari. 

L’operazione, che chiaramente rimette in discussione gli equilibri geopolitici negli scali container del pianeta, ha impiegato poco per innescare una forte reazione da parte di Pechino – di cui Hong Kong è un governatorato – e ha gettato ulteriore benzina sul fuoco delle tensioni già esistenti tra Cina e Stati Uniti.

Le critiche di Pechino e Hong Kong: un tradimento nazionale?

Il passaggio di mano della maggioranza delle azioni delle due società controllate da CK Hutchinson che gestiscono i porti panamensi, nonché moltissimi scali internazionali in svariati continenti, ha suscitato il proverbiale ‘can che dorme’, sia in Cina che nella madrepatria di Li Ka-shing, Hong Kong

Il capo esecutivo del governatorato di Hong Kong, John Lee, ha espresso cautela, affermando che le critiche sollevate meritano “seria attenzione”; sebbene Lee non abbia dettagliato la natura esatta delle preoccupazioni cinesi, le sue dichiarazioni riflettono una posizione moderata rispetto al tono critico dei media pro-Pechino.

Dalla Cina continentale, l’opposizione è stata ancora più chiara. Gli uffici di Pechino hanno rilanciato articoli di giornali, come il Ta Kung Pao, che definisce l’accordo una “resa agli Stati Uniti” e un tradimento degli interessi nazionali. La narrativa ufficiale sottolinea che i grandi imprenditori dovrebbero agire come patrioti, accusando implicitamente CK Hutchison di aver messo il profitto al di sopra del bene comune.

Le critiche ufficiali di Pechino includono un’accusa più ampia agli Stati Uniti, descritti come promotori di coercizione economica, osteggiando l’idea che una compagnia a trazione americana possa ottenere il controllo di asset strategici situati in una posizione vitale per il commercio globale (grosso modo l’identica critica mossa da Washington a parti invertite).

Riprogettare il panorama globale dei porti

Se finalizzata, l’operazione darebbe al consorzio guidato da BlackRock il controllo su 43 porti in 23 Paesi, inclusi hub fondamentali in Messico, Egitto, Paesi Bassi e Australia

Questo riequilibrerebbe significativamente il panorama del controllo dei porti globali, spostando una porzione rilevante degli asset fuori dall’influenza asiatica e cinese verso aziende occidentali; addirittura, essendo una delle società parte del consorzio una controllata di MSC, quest’ultima potrebbe dover cedere gli asset ritenuti in esubero per evitare di assumere una posizione dominante, specie in Europa.

L’operazione potrebbe limitare l’influenza commerciale della Cina, già attivamente impegnata nell’espansione della propria presenza portuale internazionale attraverso progetti infrastrutturali legati alla Belt and Road Initiative; d’altra parte, offrirebbe agli Stati Uniti e ai suoi alleati un vantaggio strategico in un periodo caratterizzato da crescenti rivalità economiche e politiche.

Che vi sia, dietro a questo accordo, la longa manus di Washington appare però difficile: malgrado il tempismo dell’annuncio rispetto alle esternazioni del neo-presidente Donald Trump sulla presenza cinese nei porti panamensi, una cessione di tale portata era probabilmente ‘in mente dei’ già da mesi, probabilmente da almeno un anno.

Il possibile ripensamento di Li Ka-shing

Secondo indiscrezioni di parte asiatica che tendono a moltiplicarsi col passare dei giorni, CK Hutchison avrebbe rinviato la firma definitiva dell’accordo, inizialmente prevista per aprile. 

È presto detto che molti ipotizzano una correlazione tra la reazione di Pechino e questa improvvisa presa di tempo, vedendo nelle pressioni politiche una possibile ragione. È d’altronde probabile che le critiche da parte di Pechino e i segnali di disapprovazione che giungono da Hong Kong stiano mettendo sotto pressione Li Ka-shing, nonostante la sua posizione di uomo d’affari globalizzato e con scarse connessioni operative alla Cina continentale.  

Inoltre, essere percepito come “collaboratore” degli interessi americani potrebbe danneggiare la reputazione del conglomerato aziendale CK Hutchonson – attivo in moltissimi altri settori, come quello delle telecomunicazioni – e complicare i suoi rapporti futuri con la Cina.  

In ogni caso, non bisogna dimenticare la complessità di un tale accordo, che coinvolge asset in tutto il mondo e richiede la necessità dell’approvazione da parte del governo di Panama, il che rende inevitabili i ritardi nell’iter di finalizzazione (anche in questo caso, molti analisti prevedono anche un anno per l’emissione di tutte le valutazioni legali da parte del governo panamense).

La vendita dei porti panamensi, comunque, non si pone solo come una questione commerciale, ma come un esempio concreto di come le tensioni geopolitiche globali influenzino le decisioni aziendali – oltre che un esempio del peso che hanno raggiunto alcuni oligopoli aziendali nei diversi settori. Li Ka-shing potrebbe trovarsi costretto a un compromesso, bilanciando le aspettative di Pechino con la necessità di completare un’operazione commerciale vantaggiosa. Qualunque sia l’esito, l’accordo potrebbe rappresentare un punto di svolta per il controllo strategico dei porti a livello mondiale.

Fonte: ttnews.com

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