L’amministrazione insediatasi alla Casa Bianca ha recentemente deciso – e subito ‘congelato’ – l’imposizione di dazi del 25% sulle importazioni da Canada e Messico e del 10% (in aggiunta ai preesistenti dazi del 25%) sulle merci provenienti dalla Cina per affrontare quelli che considera squilibri commerciali e proteggere le industrie nazionali. Questi dazi potrebbero essere estesi anche alle merci europee, il che evoca uno scenario di incertezza e di potenziali disagi per le filiere della catena di approvvigionamento di casa nostra.
Le mosse della nuova amministrazione USA sono da più parti interpretate come utili a intavolare nuovi rapporti di forza commerciali: tuttavia, a seconda della campana ascoltata, c’è chi presagisce una disfatta e chi un rafforzamento della salute economica statunitense.
Nei confronti dell’Europa, invece, gli annunci relativi a tariffazioni che sbarrino il libero accesso dei prodotti del Vecchio Continente, è foriero di divisioni che lasciano intuire a quale scenario possano portare: la debolezza di Bruxelles lascia campo alle tendenze centrifughe di molti Stati membri, tentati dal trattare singolarmente con Washington senza tenere conto di alimentare un ‘divide et impera’ in versione americana.
Impatti (reali e presunti) dei dazi sul Nordamerica
Leggere gli effetti dei dazi doganali sugli import da Messico e Canada – e l’opportunità reale per gli USA di imporli nel breve e lungo termine – è complesso. Le supply chain nordamericane sono infatti profondamente interconnesse, con molte aziende automobilistiche che importano parti essenziali da Canada e Messico. Nel 2023, gli Stati Uniti hanno importato automobili e camion leggeri dal Messico per un valore di 69 miliardi di dollari e per altri 37 miliardi di dollari dal Canada. Inoltre, 78 miliardi di dollari di parti di automobili provenivano dal Messico e 20 miliardi di dollari dal Canada.
I dazi introdotti potrebbero far salire i costi sia delle materie prime che dei prodotti finiti, con un effetto domino sull’intera catena di fornitura. In tal caso, le aziende sarebbero costrette a rinegoziare i contratti con i fornitori e ad esplorare strategie di approvvigionamento alternative per minimizzare l’esposizione ai dazi: va ricordato che l’industria a stelle e strisce è stata campionessa nel delocalizzare, al punto che una filiera industriale pesante dell’acciaio, per citarne una, oggi andrebbe ricostruita da zero.
Anche in tal caso, produrre ‘in casa’ – immaginando un ‘re-shoring’ o un ‘near-shoring’ di massa – comporterebbe rifare molti conti con i costi del lavoro occidentali, di certo non paragonabili a quelli asiatici. Nel caso di un’automobile, questa costerebbe, a parità di prodotto, ben di più nel momento in cui divenisse fabbricata interrante negli USA, e non è difficile immaginare quale ricaduta avrebbe venendo ‘imposta’ come alternativa da preferire anche sul mercato europeo.
Dazi e beni di consumo negli USA
Gli statunitensi stessi si aspettano che i dazi avranno un impatto diretto sui beni di consumo. Negli Stati Uniti, i prezzi delle automobili potrebbero aumentare mediamente di circa 3.000 dollari, peggiorando ulteriormente la situazione in un mercato già caratterizzato da costi medi elevati per i veicoli nuovi (50.000 dollari) e usati (26.000 dollari). Inoltre, la possibile tassazione del petrolio proveniente dal Canada, che nel 2023 ha fornito agli Stati Uniti greggio per un valore di 90 miliardi di dollari, potrebbe far salire i prezzi della benzina (le stime peggiori parlano di 70 centesimi di dollaro per gallone, equiparabili a circa 18 centesimi di euro al litro), causando un aggravio economico per i consumatori e per tutto il settore dell’autotrasporto.
In campo alimentare, i dazi sulle importazioni agricole dal Messico e dal Canada farebbero lievitare invece i prezzi di ortaggi, frutta e altri prodotti alimentari: sempre nel 2023, gli Stati Uniti hanno acquistato prodotti agricoli dal Messico per oltre 45 miliardi di dollari e dal Canada per 40 miliardi di dollari. Un dazio del 25% su questi prodotti potrebbe far aumentare i prezzi al consumo, aggravando il già elevato costo dei generi alimentari. Anche la tipica salsa guacamole per accompagnare le chips durante la visione del Super Bowl potrebbe diventare un lusso per molti americani.
Qual’è lo scopo dei dazi?
Le prospettive sulla reale efficacia dei dazi sono controverse: persino su quelli imposti dalla prima edizione di un governo a guida Trump – e in buona parte mantenuti in vigore da Biden – ormai 8 anni fa ci sono visioni contrapposte.
Da un lato, potrebbero incentivare la rilocalizzazione della produzione negli Stati Uniti (reshoring) e favorire l’uso di programmi commerciali per mitigare i costi. Ad esempio, le Zone di Commercio Estero (FTZ) permetterebbero di differire o eliminare i dazi sulle merci importate che vengono poi riesportate o utilizzate nella produzione interna.
Dall’altro, l’aumento dei costi e le interruzioni della catena di approvvigionamento potrebbero ridurre i margini di profitto delle aziende e causare una perdita di competitività sul mercato globale. Tuttavia, una delle interpretazioni più diffuse è che i dazi siano funzionali a gettare i mercati e le guide politiche dei diversi Paesi in confusione, in modo da sferrare mosse a sorpresa viaggiando sottotraccia sino all’ultimo.
È l’idea più diffusa nella UE, all’interno della quale la paura di un braccio di ferro commerciale con gli USA esacerba le tensioni interne tra gli Stati membri e Bruxelles. Le fughe in avanti di singoli Stati sarebbero funzionali ad una contrattazione individuale dei dazi probabilmente utile solo agli Stati Uniti, ma un fronte comune è difficile da ottenere in breve tempo.
Il timore dell’Europa è anche un altro, ossia che lo sbocco negato o ostacolato negli USA a milioni di tonnellate di merci cinesi a basso costo si rivolga verso il mercato UE, drogandolo e scalzando la competizione dei produttori europei.
Dazi contro la UE: effetti e contromisure
Di fronte alla possibilità di vedersi oggetto di dazi da parte degli Stati Uniti, l’Unione Europea sta valutando diverse contromosse. Tra queste vi è l’uso del regolamento anti-coercizione in vigore dal 2023, che consente all’UE di adottare ritorsioni contro un paese che ha imposto misure punitive a uno Stato membro. Un possibile bersaglio potrebbe essere il settore dei servizi, dove gli Stati Uniti registrano un attivo commerciale di 104 miliardi di euro.
Un’altra misura allo studio è l’adozione a sua volta, da parte di Bruxelles, di dazi doganali, restrizioni quantitative e misure negli appalti pubblici contro le merci americane, come consentito dal regolamento del 2021.
Le grandi aziende digitali americane potrebbero essere nel mirino, con la revoca della protezione dei diritti intellettuali o la sospensione dello sfruttamento commerciale delle loro offerte online.
In ogni caso è chiaro che una guerra commerciale tra Stati Uniti, Cina e Unione Europea potrebbe avere gravi ripercussioni sui mercati europei. Se Washington imponesse dazi mirati solo su alcuni Stati membri, potrebbero emergere ancor più che in passato interessi divergenti tra i governi europei, complicando ulteriormente la risposta unitaria dell’Europa.
Comunque, anche se i dazi venissero imposti trasversalmente a tutta l’Unione, le economie europee potrebbero subire un duro colpo (in Italia, il porto di Genova e il suo indotto si stanno già facendo i conti in tasca, come spiegato in questo articolo), con aumenti dei prezzi, riduzione delle esportazioni e perdita di competitività.
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Precedenti storici
L’attuale diatriba ha un precedente nel 2018, quando l’Unione Europea rispose ai dazi statunitensi su acciaio e alluminio colpendo merci americane come le moto Harley Davidson e i jeans Levi’s. Le ritorsioni europee furono successivamente sospese, ma la sospensione scadrà a fine marzo, riaccendendo la possibilità di una nuova ondata di dazi e contromisure.
In sintesi, i dazi proposti dall’amministrazione Trump, se estesi all’Europa, potrebbero scatenare una guerra commerciale globale con gravi conseguenze per le supply chain, le industrie e i consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico. L’Unione Europea, pur cercando un accordo con Washington, si dice pronta a rispondere fermamente per proteggere i propri interessi economici.