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Braccio di ferro commerciale USA-UE, gli scenari in vista

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Il 2 aprile si avvicina e l’Europa attende di capire cosa effettivamente dei tanti dazi annunciati (e forse rinviati) dall’amministrazione della Casa Bianca a trazione Trump entrerà in vigore.

Dall’acciaio ai semilavorati, dai vini ad altri prodotti agroalimentari, dalle auto alla meccanica industriale in genere, tutto è apparentemente sotto tiro da parte degli Stati Uniti, il cui presidente, in carica da appena tre mesi, ritiene che la UE applichi tassazioni sfavorevoli nei confronti dell’America, buttando nel calderone l’IVA – o VAT, Value-Added Tax – senza considerare che essa vige anche sui prodotti che nascono e muoiono sul mercato interno europeo.

Fatto sta che, come riportato da Repubblica, persino la Camera di Commercio USA in Europa ha messo in guardia dalla possibile compromissione di un rapporto commerciale che vale 9.500 miliardi l’anno, in un messaggio che pareva più rivolto all’inquilino della Casa bianca che ai partner nel Vecchio Continente.

Tuttavia Trump pare deciso nel suo incedere verso quello che, in prima battuta, si configura come uno ‘schianto’ – a livello di inflazione e di saldo commerciale negativo – proprio per gli USA, arrivando a definire il 2 aprile ‘giorno della liberazione’ dalle importazioni europee. Lato USA, da capire è quale conto si sia fatta in tasca Washington (c’è chi ipotizza che Trump voglia intenzionalmente far andare in recessione e il Paese, provocando una sorta di ‘tabula rasa’ sulla quale operare in seguito libero da vincoli di deficit), lato UE quali possono essere sull’import-export ed il PIL continentale gli effetti di una politica protezionistica.

L’ipotesi francese: gli strumenti anti-coercitivi

I primi ad essere saliti sulle barricate in Europa sono stati i Francesi, che sono sostenitori di una reazione dura nei confronti degli USA. La nazione transalpina ha infatti chiesto a Bruxelles di considerare le contromisure più forti in dotazione all’Unione europea: si tratterebbe di una serie di provvedimenti commerciali e non solo in grado di colpire a tappeto gli scambi di beni, ma anche i contratti sulle forniture di servizi e la proprietà intellettuale di quanto arriva dagli United States, senza considerare eventuali restrizioni nell’accesso a gare pubbliche e agli investimenti.

Il resto dei membri UE non sembra però favorevole a questa linea: intanto, come ricorda Maros Sefcovic, responsabile UE per il commercio, non ci sono ancora dettagli definitivi sulle possibili tassazioni USA nei confronti dei prodotti UE, fatta eccezione per quella del 25% su acciaio e alluminio cui la Commissione ha già risposto con contro-dazi su merci sensibili made in USA per un valore di 26 miliardi di Euro.

L’applicazione dell’intero pacchetto anti-coercizione, che richiede numerosi vaglia e che è stato concepito per difendere la UE da quei Paesi che dovessero applicare misure commerciali inique e scorrette nei suoi confronti, non sarebbe dunque all’ordine del giorno.

D’altronde, a tal proposito, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha ricordato in un’intervista rilasciata sempre a Repubblica, che quella del muro contro muro – sebbene una reazione europea debba esserci – sarebbe una politica disastrosa: molto più intelligente sarebbe cercare nuovi mercati di sbocco.

Le conseguenze sul PIL europeo e Italiano

Intanto, la realtà con cui fare i conti è che, a prescindere da dove colpiscano, i dazi non faranno piacere all’economia italiana ed europea. Certo, non solo: secondo l’OCSE i Paesi più colpiti saranno proprio gli USA, seguiti da Messico e Canada.

Tuttavia, il nostro baricentro è l’Europa, che nelle previsioni al ribasso sul PIL mondiale si allinea al 3%, riducendosi di tre decimi percentuali, mentre l’Italia è stimata attorno allo 0,7% per quest’anno e allo 0,9% il prossimo. Tuttavia, si tratta di calcoli fatti sulla base dell’attuale situazione tariffaria globale sulle importazioni e sulle esportazioni, dunque suscettibile, secondo l’OCSE, più facilmente di ulteriori ritocchi al ribasso che non al rialzo.

L’Italia, dal canto suo, è una nazione che ha fatto delle esportazioni un punto di forza della sua economia e gli Stati Uniti rappresentano da soli il 7% di tutte le vendite industriali, con un Made in Italy esposto a 360 gradi, dalla farmaceutica all’alimentare, passando per la meccanica.

Oggi il Bel Paese esporta beni verso Washington per un valore di 65 miliardi di euro, con un saldo positivo di 39 miliardi che, qualora colpito orizzontalmente, ne ridurrebbe drasticamente la competitività, aumentando nel tempo il rischio dell’”Italian sounding” paventato dal Presidente Mattarella, ossia dell’imitazione a basso costo sui mercati esteri.

Questo è uno dei motivi per i quali l’industria italiana vorrebbe evitare la linea dura a tutti i costi con l’Amministrazione USA: di fatto, guardando ai conti di casa nostra, sostituire quel 7% di produzione manifatturiera che prende il mare in direzione America o rispondere ad un dazio del 200% sui vini è in buona sostanza impossibile.

Tuttavia, l’Italia deve indubbiamente cercare altri sbocchi commerciali ed ecco, dunque, che i mercati arabi e dell’Africa, specie per comparti quali il lusso e il militare, offrono scenari da esplorare.

Intanto, è corsa alle esportazioni

Nel frattempo, lo spauracchio dei dazi ha i suoi primi effetti: nell’ultimo mese, tra il rinvio di quelli nei confronti del Messico e il timore dell’entrata in vigore di non meglio specificati tassi sulle merci europee, le importazioni negli USA sono decollate.

Si tratta di un fenomeno registrato proprio dal tradito di container nei porti, che hanno visto l’ingresso del 22% in più di automobili dall’Europa mese su mese a febbraio, ma anche il 14% in più dal Giappone e il 15% in più dalla Corea del Sud.

Qualora, poi, Trump davvero colpisse i vini italiani e francesi con un super-dazio, i ristoratori americani rimarrebbero quasi senza alternative: dunque è probabile che siano loro il motore di quel 41% in più di ordinazioni dall’Italia verso gli States registrato in novembre dall’Unione italiana vini.

Una corsa a fare scorte che tocca anche i prodotti farmaceutici e quelli meccanici, comprendendo anche i semilavorati o l’elettronica giapponese: paradossalmente, la sola idea dei dazi ha prodotto un disavanzo commerciale negativo per gli USA di 131,4 miliardi di dollari nel solo mese di gennaio 2025, il +34% rispetto a dicembre 2024.

In teoria è quanto Trump vorrebbe ridurre, cosa che, forse, pensa di poter fare nel lungo termine: il problema è a quale costo e in quanto tempo.

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