Un terremoto tariffario: è una delle tante espressioni con cui si sente etichettare la nuova politica commerciale statunitense, che sembra rispondere al solo diktat del “non fare prigionieri”.
L’amministrazione Trump ha imposto, non più tardi di una settimana fa, una serie di dazi che hanno sconvolto il commercio globale e la supply chain: con tariffe che variano dal 10% al 34% sui prodotti cinesi, al 25% sulle vetture e sulle parti di ricambio auto e al 20% sulle merci provenienti dall’Unione Europea, sino a colpire persino le presunte esportazioni provenienti da isole deserte (fatta eccezione per i pinguini), la rete logistica internazionale si trova a navigare in un contesto mai così instabile e imprevedibile dalla seconda metà del Novecento ad oggi.
Il presidente ha giustificato queste misure con la necessità di riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti, ma le conseguenze delle decisioni prese dalla Casa Bianca si faranno sentire ben oltre i confini americani.
Paesi e prodotti colpiti: uno scenario frastagliato
Le nuove tariffe hanno effetti differenziati a seconda dei partner commerciali e dei settori produttivi. Indubbiamente la Cina è stata la più colpita con dazi cumulativi pari al 34% del valore delle merci esportate, ai quali si sommano tariffe pregresse come quelle del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% su petrolio e macchinari agricoli.
Negli scambi con i vicini e storici alleati Canada e Messico, i prodotti non conformi agli standard del USMCA continuano a subire una tariffa del 25%, ma è stato paventato un possibile ridimensionamento al 12% se Trump dovesse rivedere la sua posizione – o, come lui stesso ha affermato, se dovessero pervenirgli ‘offerte fenomenali’.
Il settore automobilistico, a prescindere dalla nazionalità, è stato colpito con un dazio del 25% sulle componenti auto, mentre l’Unione Europea è stata soggetta a un’imposizione del 20% su alcuni beni (mentre su altri, come ferro e acciaio, pende un dazio apposito e il settore farmaceutico è in attesa di conoscere l’entità del suo), portando il presidente francese Macron – tra tutti, uno dei più duri nei confronti di Trump – a minacciare la sospensione di investimenti europei negli Stati Uniti, come quelli di CMA CGM per 20 miliardi di dollari.
L’impatto sui mercati globali e azionari
Il solo annuncio delle tariffe ha avuto un effetto immediato devastante. Il mercato azionario statunitense ha perso 3,1 trilioni di dollari in valore, una delle più grandi cadute di tutta la storia di Wall Street.
Gli economisti prevedono una crescita del PIL più lenta e un aumento del rischio di recessione, con una contrazione del commercio globale.
Nel settore dei container, si stima che la crescita globale dei volumi possa ridursi dello 0,5% se le importazioni statunitensi resteranno ferme. Inoltre, il blocco di alcuni prodotti alimentari dagli Stati Uniti verso la Cina (ufficialmente ‘per ragioni sanitarie’) – tra cui pollo, sorgo e prodotti ittici – aggiunge ulteriori difficoltà agli scambi commerciali.
Il panorama per shipping e trasporti
La logistica e il trasporto marittimo sono tra i settori più esposti alla volatilità portata dai dazi.
Secondo gli analisti di BIMCO, proprio il settore dei container è quello maggiormente colpito, mentre le navi cisterna e le navi che trasportano rinfuse secche sono meno esposte: il timore è che il commercio mondiale possa essere “soffocato” da queste misure.
La Cina, dal canto suo, ha risposto alzando l’asticella della tensione commerciale introducendo a sua volta dazi pari al 34% sui prodotti Made in USA e imponendo restrizioni sull’export di terre rare fondamentali per l’industria tecnologica e della difesa, rendendo più complessa la produzione di semiconduttori e batterie per veicoli elettrici. A tal proposito va ricordato che Pechino è sostanzialmente monopolista nel gestire la lavorazione delle terre rare, dunque si ritrova con un discreto coltello in mano dalla parte del manico – e ciò fa intuire il perché di certe mosse della Casa Bianca su altre caselle dello scacchiere internazionale.
Confusione e incertezza negli Stati Uniti
Negli stessi Stati Uniti, l’incertezza regna sovrana: anche branche dell’apparato statale sono perplesse, come il presidente della Federal Reserve di Richmond, Thomas Barkin, che, citato dal New York Times, ha descritto la situazione come “guidare nella nebbia a visibilità zero”.
Le imprese stanno mentendo in stand-by le decisioni di investimento, mentre settori interi si affidano a lobbisti per ottenere esenzioni o modifiche ai dazi a titolo personale. Alcune aziende stanno cercando di sfruttare il sistema per ridurre i costi tariffari: se un prodotto contiene almeno il 20% di componenti statunitensi, il dazio si applica solo sulla parte restante. Tuttavia, dimostrare l’origine dei materiali richiede un’analisi molto dettagliata della catena di fornitura, che allo stato attuale dell’arte è per sua stessa natura interconnessa a livello planetario.
Un caso emblematico è quello degli autotrasportatori: secondo le rilevazioni del Freightwaves Sonar, il numero di aziende di autotrasporto che aprono i battenti negli USA sono in costante aumento e non sono compensate da quelle che chiudono i battenti.
Un dato di per sé positivo, non fosse che la domanda di trasporto è, al contrario, statica: per una serie di ragioni anche legate alla percezione interna della salute del Paese, una fetta di statunitensi pensa che nei prossimi anni le merci da trasportare saranno in aumento, quando, per effetto degli stessi dazi, potrebbe avvenire il contrario.
In parole povere, una delle fasce di lavoratori che Trump sostiene di voler aiutare potrebbe trovarsi a competere su un mercato cannibalizzato, giocando un massacrante tiro al ribasso sulle tariffe di trasporto.
Trump stessa ha anche eliminato l’esenzione de minimis per beni provenienti da Cina e Hong Kong, che permetteva l’importazione senza dazi per prodotti sotto gli 800 dollari (in pratica, il grosso degli acquisti tramite e-commerce). Questo colpisce proprio le piccole imprese che si affidavano a spedizioni individuali per evitare costi tariffari; il provvedimento potrebbe presto essere esteso ad altri Paesi già interessati dai dazi.
In conclusione, le attuali politiche tariffarie dell’amministrazione Trump stanno creando un panorama economico insicuro e instabile. La supply chain globale deve adattarsi rapidamente, garantendo flessibilità e strategie per affrontare questa enorme dose di incertezza.
Tuttavia, con l’assenza di chiarezza sulle tariffe cumulative e il rischio di nuove escalation, il futuro rimane ancor più imprevedibile di quanto non lo sia già proverbialmente.