La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sta ridefinendo gli equilibri globali di ora in ora.
Tanto per fare un minimo di quadro complessivo, al 13 aprile, dopo la sospensione disposta da Washington per 90 giorni, i dazi imposti dall’amministrazione Trump rimangono in vigore su acciaio, alluminio e auto, con tariffe del 25% sulle vetture prodotte fuori dagli USA e sulle rispettive componenti a partire dal 3 maggio.
Tuttavia, alcuni prodotti hi-tech, come smartphone, computer, semiconduttori, celle solari, flash drive e schede di memoria, sono stati esentati dai dazi del 145% comminati alla Cina con una inaspettata decisione in extremis. Il provvedimento, annunciato dalla U.S. Customs and Border Protection, è figlio delle preoccupazioni espresse da Apple e da altre aziende tecnologiche di fronte all’inevitabile aumento dei prezzi e al derivante impatto negativo sul mercato di casa.
La Cina, principale rivale commerciale ‘punita’, appunto, con dazi di poco inferiori al 150% del valore della merce esportata verso gli Washington, ha risposto con un aumento dei dazi al 125% sulle merci statunitensi, sottolineando l’impossibilità di mantenere la competitività dei prodotti americani nel proprio mercato, e, mossa non da sottovalutare, togliendo la licenza di esportazione a diverse società statunitensi attive nel campo delle terre rare di cui Pechino è quasi monopolista.
Trump, forse assediato dai suoi stessi alleati industriali, ha nel frattempo deciso di congelare i dazi per tre mesi, a seguito di fluttuazioni record del mercato azionario: parallelamente, l’Unione Europea ha adottato a sua volta una moratoria di 90 giorni, in linea con quella annunciata dagli Stati Uniti, sospendendo le contromisure su 21 miliardi di euro di scambi con Washington e rimandando la minaccia (“Il bazooka sul tavolo”, come dichiarato dalla Von der Leyen) del ricorso alle clausole anti-coercizione.
Una pausa che dovrebbe consentire dei negoziati per evitare un’ulteriore escalation, ma senza grandi garanzie di successo con una notevole sfiducia a fare da sfondo allo scenario.
La posizione della UE e gli scenari possibili
L’Unione Europea, qualora i negoziati dovessero fallire, potrebbe implementare i contro-dazi su tre fasi, articolate secondo le scadenze del 15 aprile, del 16 maggio e del 1 dicembre. L’obiettivo sarebbe colpire i prodotti chiave dell’export USA.
Bruxelles teme una compressione del commercio internazionale e pertanto valuta strategie di diversificazione dei partner commerciali, che possono comprendere il rafforzare le relazioni con l’Asia e il Sud America. Inoltre, la UE potrebbe anche ricorrere ad incentivi per la produzione interna e attivare misure di supporto alle imprese più colpite, un po’ come già disposto da alcuni Stati membri.
Shipping globale: tra incertezza e nuove rotte
Com’è ovvio, la logistica mondiale risente fortemente delle guerre commerciali, soprattutto se a farla è la nazione ritenuta leader sul pianeta.
L’applicazione senza ‘se’ e senza ‘ma’ dei dazi imporrebbe una ristrutturazione delle catene di approvvigionamento, con aziende che valutano le opzioni del reshoring e del nearshoring, trasferendo la produzione in paesi vicini o all’interno dei propri confini nazionali.
Anche le compagnie di shipping esplorano nuovi percorsi, privilegiando mercati meno soggetti a vincoli tariffari, come il Sud-Est asiatico e l’Africa: c’è da dire che si tratta di un settore abituato a ridisegnare i propri legami, specie dopo l’allenamento fatto in questi anni tra Covid, crisi di Panama e del Mar Rosso. D’altronde, le compagnie di shipping lucrano sui collegamenti, non sulle merci trasportate, dunque possono rivolgersi verso altre rotte qualora il sistema di distribuzione globale delle merci trovasse sponde e ‘falle’ per aggirare i dazi passando attraverso altri Paesi.
Da non dimenticare è che Pechino ha iniziato ad investire pesantemente nelle infrastrutture portuali e retroportuali latinoamericane già da alcuni anni, mentre molti operatori occidentali si sono rivolti agli hub di transhipment indiani, arabi, africani e bengalesi.
Da notare è che la moratoria di 90 giorni vista in prima battuta come una buona notizia introduce secondo molti analisti un elemento di incertezza: le imprese devono infatti decidere se riprogrammare rotte o trasferire le produzioni scommettendo al buio oppure se attendere gli sviluppi dalle trattative.
L’impatto sull’Italia: crescita rallentata e (forse) nuove opportunità
L’Italia, con oltre il 10% delle proprie esportazioni dirette agli USA, è significativamente esposta: nel suo rapporto, la Banca d’Italia ha rivisto al ribasso il PIL per il 2025, fermandolo allo +0,6% e riflettendo anche sul mercato di casa nostra l’incertezza creata dai dazi.
La speranza è che il posizionamento qualitativamente alto di molte merci italiane possa mitigare gli impatti negativi.
Di fronte alle tensioni commerciali, sia Roma che Bruxelles guardano a nuovi mercati: India, Sud America e Africa emergono come alternative alla dipendenza dagli Stati Uniti. In parallelo, il settore manifatturiero italiano potrebbe sfruttare la transizione verso produzioni regionali per rafforzare la propria posizione.
Nel frattempo, la stessa Cina ha teso la mano all’Europa per ‘contrastare il bullo americano’, sebbene anche il capitolo delle importazioni aggressive che giungono da Pechino sia oggetto di preoccupazioni per la salute dei mercati europei.
Nel prossimo trimestre si capirà se la moratoria porterà a soluzioni concrete o se la guerra commerciale continuerà ad amplificare i suoi effetti su scala globale.